di Francesco Peressini
La notizia della morte di Diego Armando Maradona, giunta così rapida ed inaspettata in un anonimo pomeriggio di Novembre, ha rievocato in tutti coloro che amano il gioco del calcio ricordi assopiti delle gesta di questo straordinario esteta del pallone, capace con le sue prodezze sul rettangolo verde di compiere prodezze inenarrabili che rimarranno per sempre scolpite nella storia dello sport. Purtroppo per questioni anagrafiche chi vi scrive non ha potuto vivere nella sua interezza la carriera costellata di trionfi e cadute di questo immenso campione, che ha saputo far innamorare le folle in ogni angolo del pianeta ed ha saputo incarnare alla perfezione il primo prototipo di calciatore moderno, dotato di un sinistro sopraffino ed una visione di gioco fuori dal comune, potendolo ammirare solo quando la sua stella iniziava ad offuscarsi, soprattutto per questioni extra-calcistiche. Perché Diego Armando Maradona era genio e sregolatezza, sia sul terreno da gioco che nella vita quotidiana ed è proprio quest’ultimo aspetto che ci ha privato della possibilità di poterne godere più a lungo le gesta. Per un beffardo segno del destino, se ne va nello stesso giorno in cui quindici anni fa ci salutava George Best, altro talento cristallino che ha visto la sua vita spezzata troppo presto e che ha vissuto una parabola simile a quella del “Pibe de Oro”.
Il primo ricordo che mi lega al Maradona calciatore è proprio il suo passo d’addio al calcio internazionale. Avevo cinque anni quando in quel torrido pomeriggio di Boston, il 25 Giugno 1994, dopo la gara Argentina-Nigeria, Maradona usciva dal campo scortato da un’addetta all’antidoping dopo aver contribuito alla vittoria della propria Nazionale: nessuno immaginava che quella sarebbe stata l’ultima gara giocata dal Pibe con la maglia albiceleste. Una maglia quella della Nazionale Argentina ed un popolo quello argentino a cui Maradona ha regalato un Mondiale, trascinando letteralmente i propri compagni verso la vittoria e disputando quella che a detta dei critici rimane la gara che più di tutte ha consacrato il “diez” all’iconografia del calcio mondiale: nei quattro minuti che trascorrono tra la “Mano de Dios” e il “Gol del Siglo” in quel famoso quarto di finale con l’Inghilterra, c’è la quintessenza della carriera e forse anche della vita di Maradona.
E poi c’è Napoli. Quella Napoli dove Maradona arriva nel 1984 trovando subito il calore di 70000 tifosi azzurri alla presentazione. Una Napoli che sogna ancora il primo scudetto della sua storia, che sogna di spezzare l’egemonia delle grandi del Nord in quello che è il campionato più equilibrato di sempre, ricco di campioni e bandiere. E Maradona, per Napoli, diventerà in poco tempo molto più di una bandiera, legando indissolubilmente il suo nome a quello della città partenopea a suon di successi: sotto il Vesuvio arrivano due scudetti, una Coppa Uefa, una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana. Cadono sotto i suoi colpi la Roma di Falcao, Conti e Di Bartolomei, la Juventus fresca Campione del Mondo, il Milan di Sacchi e degli Olandesi, l’Inter dei record di Trapattoni, e Napoli si scopre grande. Quando nel 1991 le strade di Napoli e Maradona dolorosamente si dividono, niente è più come prima: per i tifosi azzurri da quel momento ci sarà sempre un “prima di Diego” ed un “dopo Diego”, come si usa per distinguere le divinità.
Ed una divinità, per il mondo del calcio, Diego lo è stata: è stato colui che ha saputo rendere il calcio un fenomeno globale, regalando a molti ragazzini il sogno di diventare calciatori come lui, rappresentando alla perfezione il periodo di transizione tra uno stile di gioco classico, molto affidato alla tattica ad uno stile moderno basato sull’imprevedibilità e sulla velocità d’esecuzione del gesto tecnico. Un rivoluzionario del calcio, del quale sentiremo sicuramente la mancanza, perché nonostante una vita fatta di eccessi ha saputo regalare sogni ed emozioni ad intere generazioni di appassionati in tutto il mondo e quei sogni e quelle emozioni rimarranno immortali.
Que Descanse en Paz, Diego Armando Maradona.