Mattia Samotti, venti anni compiuti lo scorso giugno, è il classico esempio di profeta in patria. Indossa con orgoglio e grande senso di appartenenza la maglia della Pro Gorizia, squadra della sua città. Era partito proprio da lì, quando lo stadio si chiamava ancora “Campagnuzza”, prima di venire dedicato qualche anno fa ad Enzo Bearzot. Partito da quello stadio dove andava da piccolo a tifare per la Pro e poi a fine partita scendeva sul terreno di gioco a tirare due calci con gli altri bambini. Un modo per prendere confidenza con quelle zolle che sarebbero diventate terra amica sotto i suoi piedi. L’attaccamento alla città, alla squadra è sempre stato un sentimento sincero, anche quando la sua carriera poteva prendere una piega importante, dopo i tanti anni nell’Udinese Primavera e un anno in prestito alla Spal, dove, però, ebbe un anno non propriamente fortunato, al termine del quale fece ritorno nel capoluogo isontino.
Mattia è un centrocampista di stampo classico, ama definirsi mezzala, ruolo che più di ogni altro si addice alle sue caratteristiche: 78 chili distribuiti in 180 centimetri di altezza gli consentono di assicurare al reparto centrale fisicità e dinamismo, che sfrutta per gli inserimenti caratterizzati dal giusto timing o per calciare in porta dalla distanza con buona precisione. Rigorosamente di destro, però, visto che sul sinistro dovrà lavorare ancora un pochino, per affinare sensibilità e padronanza di tocco. Anche il gioco di testa avrà bisogno di qualche revisione particolare, mentre per dosare lo sforzo all’interno di una partita sarà l’esperienza a giocare un ruolo importante, nel senso che con gli anni imparerà a saper limitare la sua generosità per non sprecare energie inutili.
Non ha modelli da seguire, tra i calciatori professionisti, ma ammette di ammirare centrocampisti come Barella e Zaniolo (incrociato in passato nel campionato Primavera), che rappresentano un po’ i prototipi del centrocampista moderno, che deve avere corsa, sfruttare il fisico ed abbinare la quantità alla qualità.
Mattia è amante del calcio, anche se non segue una squadra in particolare, ma fa il tifo per tutte le compagini italiane impegnate nelle competizioni internazionali.
Questa grande passione per il calcio rappresenta una specie di fiore nel deserto, in una famiglia in cui da sempre si mangia pane e basket, con il nonno, papà Sandro e mamma Valentina che hanno giocato anche a discreti livelli. Mattia e il fratello Nicolò (attualmente tesserato nelle giovanili del Pordenone), invece, al pallone a spicchi hanno preferito quello che rotola sui campi verdi.
Nella sua carriera ha avuto, naturalmente, tanti allenatori, coi quali si è sempre trovato a proprio agio, ma ad uno è rimasto particolarmente affezionato: si tratta di Massimiliano Giatti, avuto ai tempi dei Giovanissimi Nazionali, che vinsero il proprio girone, prima di essere eliminati ai play off dal Novara, vittorioso con un gol allo scadere. In quel periodo partecipò anche ad una stage con la Nazionale Under 16. Di Giatti dice che è come un padre e che proprio grazie a lui è il giocatore determinato e grintoso che è adesso.
Attualmente è dipendente della “Minerva”, un’azienda multiservizi attiva nel settore della gestione integrata di strutture residenziali ed ospedaliere.