Disastro azzurro. Fuori dal mondo del calcio. La caduta dei campioni d’Europa…
Basta leggere anche solo le prime pagine dei quotidiani italiani, pure di quelli generalisti, per capire come l’eliminazione della Nazionale italiana di calcio dalla corsa alla qualificazione ai Mondiali di Qatar 2022, abbia rappresentato un momento sportivamente e socialmente tragico per tutto il movimento calcistico italiano e per l’Italia intera, intesa come Nazione e sistema.
La vittoria a Euro2021 è stata evidentemente una luce abbagliante nel lungo e buio tunnel nel quale il calcio azzurro si è infilato da tempo.
La vittoria nel Mondiale del 2006 in Germania è stata l’ultimo, straordinario lampo di un sistema che, in ogni caso, dagli anni Ottanta e Novanta, fino ai primi anni Duemila aveva tenuto il calcio italiano nell’élite mondiale.
Terminata quella fase, però, anche guardando ai club, a parte le due Champions League vinte dal Milan nel 2007, peraltro partendo dai preliminari, e dall’Inter nel 2010 (con undici stranieri in campo e Materazzi, Balotelli e Toldo in panchina…), non è stato più registrato alcun acuto degno di nota.
La Juventus che ha disputato e perso due finali di Champions negli anni Dieci del Secondo Millennio e l’Inter che ha perso la finale di Europa League nel 2020 sono state le classiche eccezioni che confermano la regola: il calcio italiano è di basso livello, rispetto alla concorrenza internazionale.
Prima ce ne rendiamo conto tutti e accettiamo che serve rivedere diversi parametri organizzativi, magari azzerare e ripartire con idee nuove o, perché no? mutuate da altre scuole più efficaci, e meglio è.
La colpa non è di Roberto Mancini. Come non lo era di Giampiero Ventura nel 2018, quando l’Italia mancò la qualificazione al Mondiale di Russia.
Mancano i giocatori di livello internazionale, con esperienza e profilo da star mondiale. Forse Barella, Zaniolo, Tonali, Bastoni e Chiesa potranno esserlo. Forse Donnarumma sta vivendo un periodo negativo, ma è certamente uno dei migliori portieri del mondo. Però, tutto compreso, è ancora troppo poco per coltivare ambizioni internazionali. Non abbiamo attaccanti che facciano la differenza: Immobile e Berardi, i punteros di riferimento di Mancini contro la Macedonia del Nord, giocano rispettivamente nella squadra settima e nona in classifica in serie A.
L’unica squadra che avanza a un certo livello nelle Coppe Europee è l’Atalanta: Matteo Pessina, l’unico italiano (quasi) titolare nella Dea orobica, non era in campo a Palermo.
Un tempo, l’Atalanta aveva il miglior vivaio d’Italia…
Quindi, è sufficiente una serata storta di Jorginho e una buona prestazione, ma non straordinaria di Marco Verratti per perdere in casa anche contro una formazione non di primo piano come la Macedonia. Con un tiro in porta al 91’, i macedoni ci hanno eliminato.
In questo calderone, il calcio dilettanti cosa può fare?
A ben vedere, più di quel che si pensi. In primis, può impegnarsi molto di più sul territorio, a caccia di nuovi tesserati giovani. Può, anzi deve imporre ai propri tecnici dei vivai di insistere sulla tecnica e sull’allenamento fisico ed atletico. Può smettere di considerare bambini da preservare pro futuro dei giocatori di 20 anni. Può attivare percorsi di crescita anche didattica assieme alle Università di Scienze Motorie, come ha, per esempio, sviluppato l’Atletica Leggera a Udine grazie a un’intuizione dell’indimenticabile Alessandro Talotti. Può pensare ad elevare il proprio profilo, accettando un confronto che non sia più locale o, quantomeno, non sia solo incentrato sul vincere il derby della domenica contro la squadra del paesello vicino. E può investire risorse nelle strutture e nello sviluppo di progetti tecnici, piuttosto che strapagare giocatori che, nella maggior parte dei casi, dovrebbero essere dilettanti.
Restando nell’àmbito dell’atletica leggera e del salto in alto in particolare, nel corso dell’ultimo Udin Jump Development, andato in scena ai primi di febbraio al palaIndoor a Udine, il professor Renzo Pozzo, allenatore e ricercatore di fama internazionale, per molti anni docente e ricercatore all’Università di Colonia, in Germania, nel corso di un webinar ha spiegato chiaramente un concetto che dovrebbe essere chiaro a tutti.
“Quando una nazione manda un proprio atleta costantemente tra i primi dieci a livello mondiale – ha detto Pozzo –, si può parlare di un sistema efficiente. Se succede l’exploit, che va comunque studiato, non è detto che tutto il sistema dietro sia efficace. Basta andare a vedere quali nazioni abbiano investito davvero nei centri di preparazione olimpici per avere un quadro chiaro. Poi, certamente, anche quelle possono sbagliare e non ottenere risultati, anche perché dipende dal materiale umano a disposizione. L’Italia è il paese dei talenti, ma non sempre il nostro sistema di sviluppo di questi talenti funziona bene. Tamberi ha vinto l’oro olimpico, ha fatto un gran lavoro, ma dietro di lui chi c’è”.
Mettendo la Nazionale di calcio al posto di Tamberi, il discorso non cambia.
Insomma: quando si parte nella nuova direzione?